Incontro con il segretario dell’ex Sant’Uffizio, l’arcivescovo Angelo Amato, salesiano. Gli studi di teologia e la passione per il calcio. Dalla difesa dell’area a quella della dottrina della fede
di Gianni Cardinale
L’arcivescovo Angelo Amato è il secondo salesiano a ricoprire il ruolo di segretario della Congregazione per la dottrina della fede. È succeduto infatti a Tarcisio Bertone, anche lui figlio di don Bosco, oggi cardinale arcivescovo di Genova. I due hanno una formazione differente: Amato è un teologo, Bertone un giurista. Caratterialmente il nuovo vice del cardinale Joseph Ratzinger, assai riservato nonostante le origini meridionali, è quasi agli antipodi del suo predecessore, solare ed estroverso pur essendo un piemontese doc. Senza contare poi le “profonde” differenze di tifo calcistico: Amato milanista da sempre, Bertone notoriamente juventino… Ma le differenze tra i due si fermano qui. E non toccano l’essenziale. Oltre ad essere accomunati da una profonda stima reciproca e da una leale amicizia, infatti, Amato e Bertone sono legati da un comune sentire riguardo ai nodi più delicati dell’attuale situazione ecclesiale.
Angelo Amato nella loggia del palazzo del Sant’Uffizio
A quindici mesi dal suo insediamento nell’ex Sant’Uffizio, l’arcivescovo Amato, vincendo una naturale ritrosia, ha accettato un colloquio con 30Giorni per raccontare in particolare il periodo della sua formazione salesiana e accademica. Il 23 aprile monsignor Amato ha partecipato alla conferenza stampa di presentazione della istruzione Redemptionis sacramentum. Su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la santissima Eucarestia. E nell’occasione ha, tra l’altro, ribadito che questo nuovo documento esprime la volontà della Santa Sede che venga messa in pratica la riforma liturgica «secondo quanto stabilito dal Concilio Vaticano II, eliminando quegli abusi che sono contro la dottrina cattolica». Eccellenza, com’è nata la sua vocazione salesiana? ANGELO AMATO: Molto semplicemente dal fatto che agli inizi degli anni Cinquanta giunsero al mio paese, Molfetta, i salesiani e aprirono nel quartiere in cui allora abitavo un oratorio, un centro giovanile e una parrocchia. Automaticamente, invece di andare nella parrocchia di appartenenza, cominciai a frequentare questo nuovo oratorio dove c’erano molti ragazzi e si poteva fare sport. Ed è proprio nell’oratorio che è nata la mia vocazione. Ma i miei genitori non erano entusiasti e così cominciai a frequentare l’istituto tecnico nautico di Bari. Finalmente, quando ebbi quindici anni, mi venne concesso di entrare nella congregazione salesiana. Feci l’aspirantato a Napoli e il noviziato a Portici. C’era stata qualche figura di salesiano che l’aveva l’affascinato in maniera particolare? AMATO: Senza dubbio il fondatore dell’Opera di Molfetta, don Piacente, zio dell’allora presidente della Regione siciliana, sacerdote di grande fede. Fu lui a donarmi una biografia di don Bosco in due grandi volumi, quella del Lemoyne, che lessi d’un fiato. Ero ragazzo ma già leggevo molto, oltre a praticare sport. Quale sport? AMATO: Il calcio, naturalmente. Giocavo da centromediano, allora si chiamava così. Ricordo che nella mia squadra c’era un certo Gaetano Salvemini, che poi sarebbe diventato un bravo giocatore e allenatore di serie B e anche, per qualche tempo, di serie A. Ed è tifoso di qualche squadra? AMATO: Sì, certo, del Milan. Fin da quando ero piccolo.
Il cardinale Joseph Ratzinger con l’arcivescovo Angelo Amato
Quindi da tempi preberlusconiani... AMATO: Esatto. Anche quando il Milan precipitò in serie B. All’epoca ero in Grecia ed era difficile avere notizie sul campionato cadetto. Fortunatamente c’era Makedonia, il quotidiano di Salonicco, che riportava tutti i risultati delle partite italiane, comprese quelle della serie B. Altri tempi. Ha gioito per il campionato appena vinto – ahimè per noi romanisti – dalla squadra di Ancelotti? AMATO: Con moderazione. Siamo a Roma. Chiudiamo la parentesi sportiva. Torniamo alla sua vita salesiana... AMATO: Dopo il noviziato ho trascorso tre anni in Sicilia, ottenendo la maturità classica al Liceo salesiano di Catania. Quindi ho studiato filosofia e teologia a Roma, dove ho preso la licenza nel 1968. Intanto il 22 dicembre del ’67 ero stato ordinato sacerdote a Roma e ho celebrato la prima messa a San Pietro, nella Cappella dell’Eucarestia. E questo, in un certo senso, mi invita ad andare ogni mattina a dir messa nella Basilica vaticana. La seconda messa invece l’ho celebrata alle Catacombe di Priscilla, nella Cappella Greca. Col senno di poi si potrebbe dire che questo è stato un segno di come la Provvidenza a volte si diverta a giocare con noi. Come ha proseguito negli studi? AMATO: Dal ’68 ho studiato alla Gregoriana per il dottorato in Teologia. Nel ’72 ho cominciato ad insegnare all’Università Salesiana come assistente. Nel ’74 ho conseguito il dottorato con una dissertazione, subito pubblicata, su I pronunciamenti tridentini sulla necessità della confessione sacramentale nei canoni 6-9 della Sessione XIV. Relatore era il grande padre gesuita Zoltan Alszeghy. Che ricordo ha di padre Alszeghy? AMATO: Ho un gratissimo ricordo. È stato veramente un grande professore, un rinomato teologo e un santo sacerdote. Anche perché è riuscito a passare dal metodo teologico “pre” a quello postconciliare in modo, devo dire, grandiosamente equilibrato. Purtroppo mi sembra che oggi sia stato dimenticato. Anche se mi dicono che ora ci sia uno studente italiano che sta proprio lavorando su Alszeghy per conseguire il dottorato. Padre Alszeghy aveva particolarmente approfondito la teologia della grazia e il tema del peccato originale. AMATO: Certo. E si tratta di temi che sembrano anch’essi un po’ dimenticati... O meglio, se ne sente parlare, qualche volta, e in maniera molto impropria. Speriamo che l’anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, che cade proprio quest’anno, sia l’occasione per riprendere e approfondire questi temi nel solco della grande tradizione della Chiesa. Un periodo che ha particolarmente segnato la sua formazione è stato quello trascorso in Grecia alla fine degli anni Settanta, come borsista del patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Fu una sua scelta? AMATO: No. All’epoca ero un giovane professore di Teologia dogmatica all’Università Salesiana. Si era agli inizi del dialogo della carità tra cattolici e ortodossi, quello teologico doveva ancora iniziare. Nel quadro degli scambi culturali il patriarcato ecumenico aveva messo a disposizione una borsa di studio e il Segretariato per l’unità dei cristiani invitò il nostro Ateneo ad inviare un suo docente. Io fui la... “terza scelta”. Il compianto don Achille Triacca, la “prima scelta”, era molto impegnato nella docenza e non poté accettare. Così anche un nostro docente di Patristica rifiutò perché non aveva tempo. Alla fine chiesero a me se volevo andare. L’invito fu per me un comando e accettai.
Padre Zoltan Alszeghy con don Angelo Amato nei primi anni Settanta
Quanto durò la sua permanenza in Grecia? AMATO: Più o meno due anni, 1978 e 1979. I primi quattro mesi ho abitato nella comunità dei padri gesuiti di Atene, per imparare il greco moderno e superare l’esame di ingresso all’Università; quindi mi trasferii a Salonicco presso il monastero Moní Vlatádon, sede del rinomato Istituto patriarcale di studi patristici. Ero il primo e unico cattolico ad essere ospitato. Mi accolse l’igumeno Nikodimos Anagnostou, oggi vescovo di Ierissós. L’Istituto patristico era diretto dal celebre Panagiotis K. Christou, ex ministro dell’Educazione del governo greco, autore di una monumentale patrologia greca in più volumi ed editore delle opere del Palamás. Ricordo con particolare commozione le liturgie celebrate nella piccola chiesetta del monastero, luogo, secondo la tradizione, dell’evangelizzazione di san Paolo a Tessalonica. Bisogna tener presente poi che l’Istituto patristico di Salonicco è il centro teologico più importante dell’ortodossia, più importante di quello di Atene, ed è anche il più aperto in senso ecumenico. Tanto che il professor Christou volle pubblicare nella collana Análekta Vlatádon il frutto dei miei due anni di studio sul sacramento della penitenza nella teologia greco-ortodossa nei secoli XVI-XX. Come venne trattato dai monaci ortodossi durante questa permanenza a Salonicco? AMATO: All’inizio con una certa, comprensibile, diffidenza, che poi si sciolse, dando inizio a una convivenza più che fraterna, generosa e nobilmente cristiana. Ho un gratissimo ricordo di quel periodo e conservo ancora amici veramente fraterni. Dovremmo utilizzare maggiormente queste opportunità di conoscenza in loco. In tal modo si superano molti pregiudizi di tipo psicologico e si precisano molti nodi anche teologici. Lei contemporaneamente si iscrisse anche all’Università civile di Salonicco… AMATO: Sì, vi frequentai le lezioni di Dogmatica del professor Romanidis e quelle di Storia dei dogmi del professor Kalogyrou. Entrambi mi onorarono della loro cortesia e della loro amicizia, pur essendo di orientamento del tutto opposto: rigido nella dottrina il primo, “paternamente ecumenico” il secondo. Ovviamente utilizzai al meglio la Biblioteca centrale dell’Università – aperta anche nei mesi estivi – ricchissima di opere di mio interesse. Approfitto per ringraziare da queste pagine il direttore della Biblioteca e i cortesi addetti al servizio. Facendo un salto nell’attualità, come valuta il dialogo tra Roma e Chiese ortodosse riguardo a due questioni “classiche” come quella del Filioque e quella del primato petrino? AMATO: Quello del Filioque non credo sia un ostacolo insuperabile. Quando studiavo in Grecia anche i professori meno aperti nei nostri confronti concordavano nel dire che il Credo con o senza Filioque è il frutto di due tradizioni teologiche, occidentale e orientale, entrambe legittime e che possono benissimo convivere. Ho l’impressione, però, che quando da parte ortodossa si rinfocola questa problematica e si chiede, ad esempio, di annullare le decisioni sul Filioque prese dal secondo Concilio di Lione nel 1274, in realtà lo si fa mirando ad altro... A cosa? AMATO: Mirando ad una sconfessione, ad un azzeramento, di tutto il secondo millennio di storia della Chiesa, dal secondo Concilio di Lione al primo Concilio Vaticano, senza parlare dei dogmi mariani “pontifici” dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione. Concilio di Trento compreso? AMATO: Forse no. Trento non credo che potrebbero sconfessarlo. Per un motivo semplice. Nella seconda metà del XVI secolo per tre volte i teologi luterani di Tubinga inviarono al patriarca di Costantinopoli, Geremia II [1536-1595, ndr], figura molto simpatica, la Confessione augustana, pregandolo di sottoscriverla per creare così un asse protestante-ortodosso contro Roma. Purtroppo per loro, ma fortunatamente per noi, Geremia II rifiutò, rispondendo in pratica: è vero che noi ortodossi siamo uniti a voi protestanti nell’avversione contro Roma, ma, per quanto riguarda la dottrina, siamo totalmente d’accordo con Trento. Per questo non credo che l’ortodossia possa azzerare il Concilio tridentino. A parte la questione del Filioque, quello che sembra difficilmente raggiungibile è un accordo sulle modalità di esercizio del primato petrino... AMATO: La Congregazione per la dottrina della fede organizzò nel 1996 un simposio scientifico sull’argomento, di cui sono stati pubblicati gli atti. Ha preso lo spunto dalla seguente affermazione fatta da Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint: «Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova» (n. 95). Il problema è chiarire cos’è l’essenziale. AMATO: L’essenziale per la dottrina della Chiesa cattolica è che l’origine del primato è di natura divina e che ha come finalità l’unità della Chiesa. E questo è riscontrabile anche negli scritti del primo millennio: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia», scriveva sant’Ambrogio. Le caratteristiche dell’esercizio del primato devono essere poi comprese a partire da due premesse fondamentali: l’unità dell’episcopato e il carattere episcopale del primato stesso. Senza contare poi che il successore di Pietro non può essere considerato un semplice primus inter pares. Ciò detto, è chiaro che poi sulle modalità concrete di esercizio ci possono essere delle diversità in rapporto ai tempi e ai luoghi. È proprio su questo che sta ancora lavorando la nostra Congregazione. Quando è previsto che possa venire alla luce questo documento? AMATO: Non posso fare previsioni. Ma la strada da percorrere è ancora lunga perché strettamente collegate al primato petrino vi sono questioni molto delicate come l’infallibilità pontificia e i due dogmi mariani definiti da Pio IX e Pio XII. Ma è facile prevedere che qualora si chiarisse la questione del primato petrino allora tutti gli altri nodi nel dialogo con il mondo ortodosso, Filioque compreso, si scioglierebbero uno ad uno. primo parte
__________________
Gianni Cardinale
Date:
Parte 2: Amato, il segretario dell’ex Sant’Uffizio
Incontro con il segretario dell’ex Sant’Uffizio, l’arcivescovo Angelo Amato, salesiano.
di Gianni Cardinale
A proposito dei dogmi mariani, come lei ha già ricordato quest’anno ricorrono i 150 anni dell’Immacolata Concezione; in che senso questo dogma, insieme a quello dell’Assunzione, è ancora un ostacolo per il dialogo ecumenico con gli ortodossi? AMATO: Per quanto riguarda l’Assunzione non c’è differenza con l’ortodossia tranne per il fatto che noi l’abbiamo dogmatizzata e loro invece no. Nel caso dell’Immacolata Concezione invece una differenza c’è, dovuta principalmente ad una diversa comprensione nell’ortodossia di quello che noi chiamiamo peccato originale. Quale? AMATO: Per la dottrina cattolica Maria è stata concepita, appunto, senza peccato originale. Per gli ortodossi invece – anche se non mancano nella storia delle eccezioni – la catarsi, la purificazione della Beata Vergine avviene con l’Annunciazione. Sergej Nikolaevic Bulgakov nella sua opera Il roveto ardente dedica un intero capitolo al dogma mariano dell’Immacolata Concezione, attribuendo all’autoritarismo dottrinale cattolico la promulgazione del dogma del 1854, che de facto avrebbe anticipato il dogma del Concilio Vaticano I concernente l’infallibilità papale in materia di fede. Per lui il dogma dell’Immacolata sarebbe un abuso dottrinale, un’espressione non corretta di una idea giusta, quella dell’impeccabilità personale della Madre di Dio. Eccellenza, chiudiamo questa parentesi ortodossa. Ma rimaniamo in tema mariano. Negli ultimi anni lei è entrato più volte in polemica con chi vorrebbe che siano definiti ulteriori dogmi sulla Vergine Maria. AMATO: Non sono entrato in polemica. Ho espresso la mia opinione. È vero che ci sono dei circoli, piuttosto marginali, che vorrebbero dogmatizzare tre titoli contemporaneamente: Avvocata, Mediatrice e Corredentrice. Per quanto riguarda i primi due ricordo che sono stati fatti propri dal Concilio Vaticano II nella Lumen gentium e non vedo perché si debba dogmatizzarli aggiungendo così ulteriori e inutili problemi al dialogo ecumenico. E per il titolo Corredentrice? AMATO: In questo caso la questione è più seria. Il titolo di Corredentrice non è né biblico né patristico né teologico ed è stato usato raramente da qualche pontefice e solo in allocuzioni minori. Il Concilio Vaticano II l’ha volutamente evitato. È bene ricordare che in teologia si può usare il principio dell’analogia, ma non quello della equivocità. E in questo caso, non c’è analogia, ma solo equivocità. In realtà Maria è la “redenta nel modo più perfetto”, è il primo frutto della redenzione di suo Figlio, unico redentore dell’umanità. Voler andare oltre mi sembra poco prudente. Riprendiamo il filo della sua formazione. Un altro periodo importante della sua esperienza di studioso è quello trascorso negli Stati Uniti dove in particolare ha approfondito il tema delicato della cosiddetta teologia delle religioni. AMATO: In effetti mi sono recato negli States durante il mio anno sabbatico nel 1988. E a Washington D. C., nelle biblioteche della Catholic University e della Georgetown, ho iniziato a studiare il tema da lei citato. All’epoca l’argomento era poco approfondito in Europa, mentre era già ampiamente presente nelle pubblicazioni in lingua inglese soprattutto nordamericane e asiatiche. Ed era chiaro che non poche soluzioni teologiche apparivano, e appaiono tuttora sbilanciate, sul versante del pluralismo e del relativismo. È comprensibile la difficoltà di quei teologi che vivono in Paesi non cristiani con grandi tradizioni religiose e culturali. Ma l’annuncio di Gesù come Signore e Redentore unico dell’umanità è un dato evangelico primario ed essenziale. Questo approfondimento le è stato utile quando ha dovuto dare il suo contributo alla stesura della famosa dichiarazione Dominus Iesus, pubblicata nel 2000, che ha suscitato non poche polemiche anche da parte di eminentissimi esponenti della Chiesa cattolica... AMATO: A parte alcune reazioni a caldo non del tutto opportune, ormai, a quattro anni dalla sua pubblicazione, tutti riconoscono l’utilità, la tempestività e la giustezza della Dichiarazione Dominus Iesus. La Dominus Iesus è stata criticata per lo stile freddo, astratto... AMATO: Forse conviene precisare bene la questione del tono e del linguaggio della dichiarazione. Anzitutto non si tratta di un documento lungo e articolato, ma solo di brevi capitoli oltremodo sintetici. Questo modo di comunicazione non intende essere segno di autoritarismo o di ingiustificata durezza, ma appartiene al genere letterario tipico di quei pronunciamenti magisteriali, che hanno la finalità di puntualizzare la dottrina, censurare gli errori o le ambiguità, e indicare il grado di assenso richiesto ai fedeli. Il tono semplice e chiaro intende comunicare ai fedeli che non si tratta di argomenti opinabili o di questioni disputate, ma di verità centrali della fede cristiana, che determinate interpretazioni teologiche negano o mettono in serio pericolo. Particolarmente criticata è stata poi la seconda parte della Dominus Iesus, quella ecclesiologica... AMATO: In questa seconda parte si è voluto riproporre quella che si può definire la specificità della tradizione cattolica, come risposta ad una situazione di confusione teologica. La Dominus Iesus non vuole esprimere altro che la sintesi dell’essenza della nostra coscienza di fede ecclesiale. Un’altra sintesi del Credo, in forma più divulgativa, dovrebbe essere il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica in preparazione presso la vostra Congregazione. Sarà pronto, come da tabella di marcia, per il 2005? AMATO: Credo di sì. Una bozza completa è stata già mandata a tutti i cardinali e a tutti i presidenti delle Conferenze episcopali, per loro eventuali osservazioni. Dopodiché verrà stilata una redazione definitiva che verrà sottoposta al Santo Padre. Se Dio vuole per i primi mesi del 2005 avremo il Compendio. Eccellenza, nel novembre scorso lei ha partecipato ad un seminario di studi promosso dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace sul tema degli Ogm. Personalmente che idea si è fatto della questione? AMATO: Assistendo alle relazioni e al dibattito della Conferenza di novembre mi è sembrato di capire che finora non è stata ancora scientificamente provata una dannosità assoluta degli Ogm. Anche se le coltivazioni biotech pongono delle serie questioni a livello economico ed agronomico. Comunque credo che da sempre l’uomo abbia cercato di modificare le colture per intensificare la produzione e per difenderle dai parassiti. Si prevedono interventi dottrinali su questo argomento? AMATO: Non certo dalla nostra Congregazione. A meno che non sorga il dubbio fondato che il pane e il vino fatti con grano o uve geneticamente modificati, se usati per la messa, possano invalidare la celebrazione eucaristica. Un’ultima domanda. Lei ha partecipato ad una anteprima per la Curia romana del film The Passion of the Christ di Mel Gibson. Che impressione le ha fatto? AMATO: Le dico a caldo le mie impressioni, che sono positive. La prima riguarda la grande professionalità del film, che è ottimamente “confezionato” e che mantiene viva la tensione e l’attenzione dello spettatore, cosa difficile per i film religiosi. La seconda impressione è che, nella fedeltà al testo biblico, il film è una meditazione realistica, non edulcorata e oleografica, ma per niente forzata, dei misteri dolorosi: dalla orazione di Gesù nell’orto, alla flagellazione, alla coronazione di spine, alla salita al Calvario e alla crocifissione e morte. È la Via Crucis di nostro Signore. Lo spargimento di sangue non è altro che la conseguenza di questi atroci supplizi. La morte di Gesù fu un vero e proprio sacrificio. Lo stesso Signore, istituendo il sacramento dell’Eucarestia, lo dice: «Questo è il sangue della nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». Gesù ha versato il suo sangue, e le sue ultime gocce fuoriuscirono dal suo costato, colpito dalla lancia di Longino. Le ultime considerazioni riguardano la presenza di Satana, il vero avversario e nemico che Gesù vince col suo sacrificio, e la scena del sepolcro vuoto e di Cristo che risorge. Le bende che avvolgevano il cadavere del Signore non sono sciolte ma solo afflosciate. Il Risorto le ha abbandonate con il suo corpo glorioso, senza sfasciarle, come invece dovette fare Lazzaro quando fu risuscitato da Gesù.
A Maria la devozione del popolo di Dio ha attribuito innumerevoli titoli che sono come i grani di una preziosa collana di perle. Le litanie lauretane ne sono un esempio: “mater divinae gratiae”, “mater amabilis”, mater admirabilis”, mater boni consilii”, “mater creatoris”, mater salvatoris”, ecc. Uno dei titoli più suggestivi e moderni di questa collana di titoli è quello attribuito a Maria da Paolo VI, che la chiama “pietatis magistra singulis christianis”.1 Maria, cioè, è maestra di vita spirituale per i singoli cristiani. In altri termini, oltre ad aver educato Gesù, ella ha anche il compito di educare i singoli battezzati, ognuno di noi, a vivere con coerenza e armonia la vita in Cristo. Precisiamo subito, che questo magistero di Maria non contraddice affatto alla parola del Signore, che si proclama nostro maestro unico ed esclusivo: “uno solo è il vostro Maestro, il Cristo” (Mt 23,10). Gesù resta l’unico e solo maestro della nostra esistenza: è lui che ci rivela la verità sul meraviglioso mistero di Dio Trinità, sul suo piano di salvezza dell’umanità intera, sul significato e sul grande valore di ogni essere umano e di ogni essere vivente. È lui che ci ha insegnato a vivere nella gioia e nella speranza. Le beatitudini non sono altro che i comandamenti della felicità e della gioia cristiana (Mt 5,3-12). La felicità e la gioia cristiana fanno parte integrante del Vangelo, che è di per sé una buona notizia, un lieto annuncio. Le beatitudini evangeliche mostrano che Dio non è lontano da noi, ma ci è vicino: è vicino ai poveri, agli afflitti, ai perseguitati offrendo loro la speranza dell’abbondanza dei beni su questa terra, la speranza della consolazione, della giustizia, della ricompensa eterna, della figliolanza divina. È Gesù che ci ha insegnato ad avere speranza: “Non abbiate timore” egli ripete innumerevoli volte, sia prima (cfr Mc 6,50, Lc 12,4.7; Gv 6,20) sia dopo la Pasqua (cfr Mt 28,10). È lui il nostro unico “principio speranza”, perché lui solo può rispondere positivamente ed efficacemente ad ogni nostra invocazione, a ogni nostro progetto, a ogni nostra preghiera, a ogni nostro desiderio. Ma, se è vero che sia stato Gesù sul monte delle beatitudini a insegnarci a vivere nella gioia e nella speranza cristiana, è anche vero che fu lo stesso Signore sul monte Calvario, nell’ora solenne e tragica della sua morte, ad affidare tutti noi a Maria, come nostra madre: “ecco la tua madre” (Gv 19,27). È questo il fondamento solido per qualificare Maria, nostra madre, nostra educatrice, nostra maestra, nostra formatrice. Il gesto di nostro Signore è stato rievocato e ribadito dal Santo Padre nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte (6 gennaio 2001), nella cui conclusione si afferma: “Tante volte in questi anni l’ho presentata [Maria] e invocata come «Stella della nuova evangelizzazione». La addito ancora, come aurora luminosa e guida sicura del nostro cammino. «Donna, ecco i tuoi figli», le ripeto, riecheggiando la voce stessa di Gesù (cfr Gv 19,26), e facendomi voce, presso di lei, dell’affetto filiale di tutta la Chiesa” (NMI n. 58). Maria, del resto, è abilitata a essere nostra maestra e guida perché è stata la prima tra i santi della nuova alleanza a fare esperienza personale delle beatitudini evangeliche in quegli avvenimenti di grazia che la tradizione cristiana chiama “misteri gaudiosi” e “misteri gloriosi”.
2. I “misteri gaudiosi” educano alla gioia
Maria, infatti, aveva detto sì all’annuncio dell’angelo, mettendosi subito al servizio del suo prossimo presso la cugina Elisabetta. Questo evento la fa sussultare di gioia: Magnificat anima mea Dominum et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo. Obbedienza e servizio, sì alla chiamata di Dio e sì alla chiamata del prossimo, costituiscono la fonte della gioia cristiana. Ecco il primo insegnamento di questa pedagogia mariana della gioia, fondata sull’ascolto della parola di Dio e sulla sua accoglienza sia nel nostro cuore sia nelle nostre azioni. L’esperienza di gioia di Maria si accresce con la nascita di Gesù a Betlemme. Gesù, il figlio santo di Dio, è ora bambino tra le sue braccia di madre. Il cuore di Maria si gonfia di santa allegrezza. Le sue mani diventano la culla del creatore dell’universo. Maria diventa la terra che ospita Dio. L’inospitalità di Betlemme non impedisce la gioia della nascita del redentore e tale gioia viene proclamata a tutto il popolo: “Non temete – disse l’angelo ai pastori –, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10). Ed ecco un secondo insegnamento di questa educazione mariana: la gioia la si può vivere anche nella povertà, nel disagio, nella persecuzione, nella inospitalità, se Gesù vive nei nostri cuori. I misteri gaudiosi di Maria vengono completati dalla presentazione di Gesù al tempio e dal suo ritrovamento, quando era dodicenne, sempre nel tempio. In entrambe le situazioni Maria vive momenti di disagio, sia quando Simeone le annuncia che una spada le trapasserà l’anima (cfr Lc 2,34-35), sia quando Gesù le risponde che deve attendere alle cose del Padre suo (cfr Lc 2,46-50). In entrambi i casi la dolcezza della festa si accompagna all’ombra del sacrificio e della separazione. Commenta al riguardo Romano Guardini: “Maria ha ricevuto il suo Bambino da Dio e gli ha messo a disposizione tutto il suo essere; Egli è tutto, per Lei; pure non le appartiene in proprio: il primo atto solenne della sua maternità è un sacrificio [...]. Nell’ultima unione fra Madre e Figlio è penetrata una forza che le porta via il Fanciullo: la potenza del Padre”.2 Anche queste due esperienze “gaudiose” di Maria costituiscono un ulteriore insegnamento per noi. La nostra anima accoglie Gesù, che nasce nel nostro cuore e lo riempie di consolazioni. Arrivano, però, le notti oscure, i veli che offuscano la vista, le fatiche del cuore e Gesù sembra allontanarsi fino a scomparire. In queste circostanze la fede si apre alla speranza, e si spera “contro ogni speranza” (Rm 4,18). Ma alla fine del tunnel oscuro, ecco di nuovo la luce: la speranza rinasce, perché Cristo è risorto nel nostro cuore.